A chi appartiene l’acqua?

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Secondo dati dell’Asian Development Bank, nel 2015, quando è stata stilata l’Agenda 2030, oltre il 75% dell’Asia non disponeva di acqua sicura e sostenibile e già allora si stimava un divario tra domanda e offerta di acqua di circa il 40%.  Tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 della Nazioni Unite, il sei, che mira a “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie” è purtroppo ancora oggi in forte ritardo in Asia. Lo ha ricordato il 22 marzo scorso la Commissione economica e sociale per l’Asia e il Pacifico (Escap) in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, ricorrenza scelta dalle Nazioni unite per i lavori della Conferenza Onu sull’acqua, che si è tenuta nella sede centrale delle Nazioni Unite dal 22 al 24 marzo. Il rapporto “Global Bottled Water Industry: A Review of Impacts and Trends” pubblicato dalla UN University Institute of Water Environment and Health (UNU-INWEH) pochi giorni prima della Conferenza Onu sull’acqua, ha ben spiegato come “La diffusione dell’acqua in bottiglia a pagamento da una parte continua a essere segno della mancanza di acqua potabile, dall’altro inibisce l’intervento statale nel fornire e migliorare le infrastrutture di approvvigionamento idrico pubblico a lungo termine e rallenta il raggiungimento degli obiettivi sostenibili”.  La regione dell’Asia-Pacifico costituisce circa la metà del mercato globale dell’acqua in bottiglia, mentre i Paesi in via di sviluppo insieme ne rappresentano circa il 60%. Ovviamente a differire rispetto ad altre aree del mondo sono le ragioni che spingono le persone a comprare acqua in bottiglia: mentre nei Paesi più industrializzati la popolazione percepisce l’acqua in bottiglia come più sicura, nel Sud del mondo l’acquisto di acqua in bottiglia è dettato dalla “mancanza o dall’assenza di un approvvigionamento idrico pubblico affidabile”.

Per capire di cosa stiamo parlando basti pensare che nello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, il più popoloso del Paese, solo 31 città su 734 hanno delle reti fognarie, che comunque riescono a trattare solo il 40% delle acque reflue. Ma l’Asia, secondo il Global Water Security 2023 Assessment sempre dell’UNU-INWEH è anche il continente con i più elevati tassi di prelievo di acque sotterranee a livello globale, “dovuti all’aumento della popolazione, al rapido sviluppo economico e al miglioramento degli standard di vita”, affermano i dati Onu dello scorso anno. Il 70% delle risorse idriche viene utilizzato per il settore agricolo, con l’India e la Cina in testa alla classifica per il maggior consumo di acque sotterranee pompate in superficie per usi agricoli, causando un progressivo ed inesorabile abbassamento delle falde acquifere e un aumento della scarsità idrica. Oggi per questo e per la crisi idrica delle torri d’acqua himalayana, anche le aree settentrionali dell’India, sono considerate a rischio scarsità d’acqua tanto quanto le regioni mediorientali, insieme ai centri urbani del sud-est asiatico dove entro il 2050 si concentrerà il 64% della popolazione dell’Asia. Quest’anno la Cina ha annunciato di aver speso 148 miliardi di dollari nella gestione delle acque nel solo 2022, con un aumento del 44% rispetto all’anno precedente. L’estate scorsa le fabbriche nel sud-ovest del Paese hanno dovuto sospendere i lavori a causa di una siccità record che ha causato il prosciugamento di alcuni fiumi, tra cui alcune parti dello Yangtze. Le dighe cinesi costruite sul fiume Mekong, che attraversa lo Yunnan cinese, il Myanmar, la Thailandia, il Laos, la Cambogia e il Vietnam stanno trattenendo quantità d’acqua sempre più importanti  facendo scendere i livelli del Mekong ai minimi storici e provocando lo spostamento delle popolazioni locali che si affidano al fiume per il loro sostentamento.

Una situazione idrica critica che in queste settimane ha interessato anche lo Sri Lanka dove sta montando la protesta degli agricoltori, che invocano il rilascio delle acque della diga di Samanalawewa, una riserva nel distretto di Ratnapura dalla quale dipendono le risaie della riserva di Udawalawe. Sono oltre 66mila le famiglie che si affidano al bacino di Udawalawe per le coltivazioni e l’approvvigionamento idrico e che, oggi, si trovano in condizioni di estrema difficoltà. Le autorità di Colombo hanno dovuto far intervenire i reparti speciali della polizia per impedire ai contadini di penetrare all’interno dell’area in cui sorge l’impianto energetico, attorno al quale vi è un ingente sistema di protezione.  Secondo il Ministero dell’Agricoltura quasi 26.300 ettari di terre coltivate a riso nella riserva di Udawalawe “rischiano di andare distrutte” per la mancanza di acqua. Secondo il Ministero il rilascio di acque dal Samanalawewa, potrebbe limitare i danni che “In caso di mancato rilascio di acqua potrebbero ammontare a 18 miliardi di rupie (quasi 51 milioni di Euro) e ulteriori danni alle colture farebbero crescere il bilancio fino a un totale di 30 miliardi di rupie (84 milioni di Euro)” provocando anche una possibile “carenza di cibo nei prossimi mesi”. Tuttavia fonti della Ceylon Electricity Board (Ceb) riferiscono che in caso di rilascio di acqua si renderebbero necessari dei “tagli alle forniture di elettricità” e per questo la maggioranza dei ministri dell’esecutivo vorrebbe “preservare” l’acqua per scopri energetici. Al momento i livelli di acqua nei bacini idroelettrici hanno raggiunto i livelli del 2019, i peggiori degli ultimi tempi. Se non ci saranno ripetute piogge entro la fine di settembre, anche il settore energetico potrebbe affrontare una situazione di crisi che si ripercuoterebbe sull’intera rete nazionale.

Per l’accademico Sampath Malalasekera, esperto di energia la “riluttanza” nel rilasciare l’acqua agli agricoltori, ha una ragione. A causa della lunga battaglia con l’ente regolatore del settore energetico, la Public Utilities Commission of Sri Lanka (Pucsl), per una crescita del 66% delle tariffe elettriche, i ministri dell’Energia e dell’elettricità, hanno insistito sul fatto che l’esecutivo avrebbe garantito energia senza interruzioni una volta “approvato l’aumento”. E proprio la necessità di evitare ulteriori blocchi, come accaduto per diversi mesi lo scorso anno, era stata la motivazione sbandierata per giustificare l’aumento dei prezzi. Oggi però con la crisi idrica dovuta alla siccità non sono esclusi nuovi e pesanti tagli alle forniture elettriche: “Attualmente il livello dell’acqua nel serbatoio di Udawalawe è sceso all’1,7% e in quello di Samanalawewa all’11,7% – ha spiegato Sampath – e le prospettive si fanno sempre più cupe”. Intanto, la Federazione degli agricoltori di Ceylon ha presentato il 7 agosto scorso, una denuncia alla Commissione per i diritti umani dello Sri Lanka (Hrcsl), per far valere richieste e prerogative di migliaia di agricoltori che si chiedono se l’acqua sia ancora di tutti o solo di qualcuno.

(da https://www.unimondo.org – di Alessandro Graziadei)

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