A dispetto dei cambiamenti climatici e delle sempre più frequenti alluvioni dello scioglimento dei ghiacciai e dell’innalzamento del mare, le risorse di acqua dolce del pianeta stanno diminuendo in maniera allarmante. Qualche giorno fa ho per la prima volta sperimentato, e capito profondamente, cosa sia l’eco-ansia. Non sono dovuta andare a osservare un ghiacciaio in estinzione a 4000 metri, e non mi è nemmeno toccato viaggiare per migliaia di chilometri per raggiungere un ex paradiso terrestre lordato da plastica e petrolio. Sono tutte cose che ho fatto in passato, in effetti, ma nonostante le sensazioni di tristezza e rabbia che spesso queste e altre situazioni analoghe mi avevano procurato, non mi era mai capitato di ritrovarmi impigliata in quella rete di impotenza, disfatta e paura del futuro che oggi chiamano eco-ansia. Ebbene, è successo. Ed è successo nella mia Torino, passeggiando a pochi minuti da casa sulla riva del fiume che conosco sin da quando ero bambina: il grande Po oggi è in secca, e io francamente non ho memoria di spettacolo più desolante. È chiaro che l’angoscia che mi ha assalito non è derivata dalla violenza dell’immagine: non ho visto, camminando lungo il Po, cormorani con le ali incatramate, né bambini che scavavano in una discarica, ma solo delle anatre che arrancavano nella melma, invece di nuotare in due metri d’acqua come sarebbe normale. È stato tuttavia il collocarsi di quell’immagine in una sfera di quotidianità a creare il cortocircuito della consapevolezza: il mondo non sarà più quello che conosciamo. E il cambiamento è già in atto, rapidissimo.